mercoledì 30 aprile 2008

Giovanni Pascoli: Italy

Italy, l'ultimo dei "Primi Poemetti", è una delle poesie più lunghe del poeta romagnolo (450 versi in due canti di terzine dantesche: canto primo, canto secondo) e ricalca moduli epico-narrativi. La dedica è singolare: Sacro all'Italia raminga. Tratta infatti uno degli argomenti più scottanti della storia sociale italiana tra Ottocento e Novecento, quello dell'emigrazione, fenomeno che riguardò non meno di 20 milioni di nostri connazionali. Ciò che spesso oggi sfugge è come, nell'intenzione di chi allora partiva, si trattasse di una migrazione temporanea che aveva come fine principale quello di migliorare la propria condizione economica (e quella della propria famiglia) in patria... per farsi un campo, per rifarsi un nido.

La vicenda narra di un gruppo familiare di quattro persone che ritorna una sera di febbraio a Caprona, in Garfagnana, per portarvi la piccola Maria detta Molly, nella speranza che l'aria salubre di montagna la possa guarire dalla tisi. La accompagnano il vecchio nonno e gli zii Beppe e Ghita. Nella casa avita, nera per la fuliggine e buia, è rimasta la nonna i cui gesti quotidiani come mungere le vacche, pulire la greppia e filare, si ripetono immutabili da sempre. La prima reazione della piccola è di rifiuto e nella sua lingua d'oltremare dice allo zio Beppe: Bad country, Ioe, your Italy! E lo zio la compiange: Poor Molly! Qui non trovi il pai con fleva di fronte al pane fatto in casa e al latte appena munto messo in tavola dalla nonna.

Il pai con fleva (pai with flavour), così come i molti bìsini (business), il fruttistendo (fruitstand) o vende checche, candi, scrima (cakes, candy, ice-cream) sono la lingua speciale dell'emigrate, un inglese italianizzato o addirittura dialettizzato che diventa la lingua franca in cui si esprime chi ha lasciato la propria terra e in qualche modo non appartiene del tutto né ad una realtà né all'altra.

E che dire dell'attualità del grido dell'emigrante, un vu' cumprà e costa poco che si ripete nel tempo:

Will you buy... per Chicago e Baltimora
buy images... per Troy, Memphis, Atlanta,
con una voce che te stesso accora:

cheap! ... nella notte, solo in mezzo a tanta
gente; cheap! cheap! tra un urlerio che opprime;
cheap! ... Finalmente un altro odi, che canta...

Molly però non è attratta come la zia Ghita dalla modernità de la mi' Mèrica dove per pochi cents si possono comprare stoffe lustre come sete. Anche se all'inizio la sua reazione è lapidaria

You like this country? ella negò severa
Oh, no! Bad Italy! Bad Italy!

a poco a poco la nonna la conquista, con i suoi gesti lenti, con il suo filare sempre uguale, che ripercorrono lo stesso affetto da generazioni. Sono proprio quei gesti del tempo delle fate, che nessuno in America fa più, che rapiscono la fantasia di Molly che trascorre ore accanto al focolare e alla nonna. E Molly decide, decide di die in Italy. " oh yes, Molly morire in Italy!"

Italy allora si commuove e il maltempo lascia il posto al sole primaverile che guarisce la piccola. In quella casa che la bimba bad chiamava tornano le rondini, sweet, sweet. Ma la situazione iniziale si ribalta: il bel tempo fa guarire la tosse di Molly, ma la tosse prende ora la nonna e se la porta via.

Il poemetto si chiude con la partenza della famiglia dopo il funerale. Hanno preso la ticchetta del barco e tra un buona cianza (chance) e un good bye se ne vanno, con la promessa di ritornare, anche quella della piccola Molly.

Al di là della vicenda, commovente nella sua semplicità, il poemetto è un capolavoro linguistico in cui si intrecciano la bellezza di quattro diversi idiomi: italiano, vernacolo, inglese e gergo dell'emigrante, un misto delle prime tre. Non c'è da stupirsi che il buon Benedetto Croce abbia cassato questa lirica che è invece un esempio dello sperimentalismo linguistico pascoliano e di quanto questo poeta sia stato capace di anticipare temi che verranno ripresi ed ampliati in tempi più vicini a noi.



1 commento:

Laura Guelfi ha detto...

A proposito di Italy, va segnalato che l’opera, nel 2003, ha ispirato un compositore contemporaneo, Carlo Deri, nella creazione di un ciclo di liriche cameristiche per canto e pianoforte. Il musicista non ha utilizzato il testo per intero, ma ha operato una scelta di versi per poi riunirli in sei liriche ben distinte, che sviluppano il tema narrativo del poemetto pascoliano. Il linguaggio musicale è improntato ad uno stile liberamente non tonale; spesso la voce declama su una sorta di immaginario tono di recita e non mancano episodi dove il pianoforte arriva a produrre effetti materici.