Chi non ha mai letto La stanza del vescovo?
Per noi che abitiamo quel lembo di terra lombarda tra laghi e montagne Piero Chiara è un romanziere immancabile, che ha saputo toccare le corde del nostro immaginario collettivo con le sue citazioni di barche e darsene, tra fughe e internamenti in Svizzera ed emigrazione.
Anche se mi piace definirlo un racconto itinerante, il romanzo ha una sua unità di tempo, di luogo e d'azione, quasi come una tragedia dai canoni aristotelici. La storia infatti si svolge esattamente nell'arco di un anno, dal luglio del 1946 a quello successivo, in un'atmosfera di sospensione del vivere, una sorta di anno sabbatico tra la fine della guerra e la ripresa dell'esistenza. L'azione si apre con l'arrivo della Tinca, la barca dell'anonimo narratore, nel porto di Oggebbio e si chiude con la sua partenza, dopo aver peregrinato di porto in porto lungo le sponde di quello stesso lago Maggiore che rappresenta appunto l'unità di luogo. Come nelle migliori tragedie greche i personaggi sono tre: il narratore, Temistocle Orimbelli e sua cognata Matilde Scrosati vedova Berlusconi. Vedova bianca ...
Dicevo appunto che la vicenda si apre nel porticciolo di Oggebbio dove il protagonista, giovane sfaccendato alla giuda della tozza barca di nome Tinca, io narrante della storia, si imbatte nel dottor Orimbelli. "Era un uomo sui quarant'anni, piuttosto piccolo, robusto, dal collo largo, con la testa a pera, da brachicefalo, coperta da una piantata molto rada di capelli scuri, ben pareggiati a spazzola. Pareva un giapponese e comunque un mongolo ..." Nessuno si aspetterebbe che sotto queste spoglie si celi un impenitente dongiovanni, che approfitta dell'amicizia del giovane proprietario della Tinca per scorrazzare su e giù per il lago sospinto dell'inverna e dal muscendrin, sempre alla ricerca di nuove prede femminili: la bella svizzera Germaine e la sua amica Charlotte, l'elefantiaca signora Armida, ... ed infine la linfatica cognata Matilde.
Attorno alla sua conquista da parte dell'Orimbelli ruota tutta la seconda metà del romanzo. Matilde poco prima della guerra aveva infatti sposato l'ingegner Berlusconi, fratello dell'arcigna signora Cleofe, proprietaria dell'omonima villa a lago, nonché moglie, separata in casa, dell'Orimbelli. Ma, complice la burocrazia, il matrimonio era avvenuto solo per procura, in quanto il Berlusconi era già partito per l'Africa dove era scomparso dopo una battaglia. Siccome il matrimonio per procura non era stato consumato nel giro di sei mesi, Matilde è legalmente vedova solo a titolo di cortesia e convive con la cognata nella villa dove, dopo la fine della guerra, è rientrato anche l'Orimbelli. Qui, nella stanza occupata un tempo dal defunto Monsignor Alemanno Berlusconi, viene ospitato di tanto in tanto anche il narratore che, tra un sonno e l'altro, sente solo i tarli che rosicchiano il vestito rosso del vescovo ancora appeso nell'armadio, mentre il subdolo Orimbelli si lancia alla conquista della cognata.
L'atmosfera che si era aperta con una citazione idilliaca del lago da Piccolo mondo antico ed era proseguita come una farsa con avventure boccaccesche, si fa d'un tratto tragica: la signora Cleofe muore misteriosamente affogata nella darsena (altra citazione), mentre il marito, l'amante e l'amico sono in barca. Ecco quindi il giallo, con Chiara che si accompagna magistralmente nelle indagini della procura, fino al colpo di scena della ricomparsa del Berlusconi, vivo e vegeto nonostante la dichiarazione di morte presunta, ma "capponato". Questi non crede al suicidio per disperazione della sorella Cleofe e si mette ad indagare, fino a trovare le prove della colpevolezza dell'Orimbelli, che nel frattempo ha sposato Matilde. L'epilogo è il suicidio, questa volta vero, dell'Orimbelli: un'impiccagione alla Condé nella stanza del vescovo.
Magistrale anche l'interpretazione di Ugo Tognazzi e Ornella Muti nell'omonimo film di Dino Risi, in cui anche Chiara fa una breve comparsa come cancelliere del tribunale, quello stesso lavoro che aveva svolto per tanti anni nella vita.
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