Il racconto del genocidio degli armeni viene affrontato in questo romanzo da Antonia Arslan, docente ed archeologa padovana, che recupera il filo di una memoria familiare rimossa recuperando le origini perdute.
Dopo un breve prologo che vede Antonia bambina alla basilica padovana del Santo con il patriarca, il nonno Yerwant, la prima parte del racconto ci trasporta nella piccola città neghittosa e sonnolenta dove vive lo zio Semprad, il farmacista dal cuore semplice che trascorre la giornata tra una partita a tric-trac e le chiacchiere al caffè. Intorno a lui ruota una vita familiare affollata ed uguale, che viene movimentata dall'annuncio della prossima visita di Yerwant, il fratello medico che ha fatto fortuna in Italia dove ha sposato una contessa. Il carteggio fra i due fratelli si fa fitto, così come i preparativi per la partenza e per l'accoglienza. Siamo nel 1915. Semprad decide di ristrutturare la Masseria delle allodole, la casa di campagna di famiglia, per ospitare il fratello con tutti gli onori.
Ma l'Italia entra in guerra e Semprad non riceve il telegramma del fratello perché si compie il destino degli armeni: gli uomini vengono massacrati alla masseria proprio nel giorno della sua inaugurazione.
La seconda parte del romanzo segue le donne della famiglia, tra cui la matriarca Shushanig e la greca Ismene, nel lungo cammino della deportazione, dai paesi dell'Armenia verso il deserto siriaco. Solidarietà, amore, fame, miserie e morte si snodano lungo la strada interminabile che le porta fino alle porte di Aleppo, dove fortunatamente vive lo zio Zareh, che riesce a salvare i suoi congiunti nascondendoli nel doppiofondo di una carrozza.
Romanzo lirico e sognante nella prima parte, tragico e struggente nella seconda, è raccontato al presente seguendo il punto di vista dei protagonisti. Non mancano però alcuni interventi del narratore omnisciente: "Ismene raccoglie questi ricordi... Finirà in mezzo a tutti i resti del suo passato, e a lei stessa, morta per difenderli nell'incendio di Smirne". Era il 1922. Ma questa è un'altra storia.
Dopo un breve prologo che vede Antonia bambina alla basilica padovana del Santo con il patriarca, il nonno Yerwant, la prima parte del racconto ci trasporta nella piccola città neghittosa e sonnolenta dove vive lo zio Semprad, il farmacista dal cuore semplice che trascorre la giornata tra una partita a tric-trac e le chiacchiere al caffè. Intorno a lui ruota una vita familiare affollata ed uguale, che viene movimentata dall'annuncio della prossima visita di Yerwant, il fratello medico che ha fatto fortuna in Italia dove ha sposato una contessa. Il carteggio fra i due fratelli si fa fitto, così come i preparativi per la partenza e per l'accoglienza. Siamo nel 1915. Semprad decide di ristrutturare la Masseria delle allodole, la casa di campagna di famiglia, per ospitare il fratello con tutti gli onori.
Ma l'Italia entra in guerra e Semprad non riceve il telegramma del fratello perché si compie il destino degli armeni: gli uomini vengono massacrati alla masseria proprio nel giorno della sua inaugurazione.
La seconda parte del romanzo segue le donne della famiglia, tra cui la matriarca Shushanig e la greca Ismene, nel lungo cammino della deportazione, dai paesi dell'Armenia verso il deserto siriaco. Solidarietà, amore, fame, miserie e morte si snodano lungo la strada interminabile che le porta fino alle porte di Aleppo, dove fortunatamente vive lo zio Zareh, che riesce a salvare i suoi congiunti nascondendoli nel doppiofondo di una carrozza.
Romanzo lirico e sognante nella prima parte, tragico e struggente nella seconda, è raccontato al presente seguendo il punto di vista dei protagonisti. Non mancano però alcuni interventi del narratore omnisciente: "Ismene raccoglie questi ricordi... Finirà in mezzo a tutti i resti del suo passato, e a lei stessa, morta per difenderli nell'incendio di Smirne". Era il 1922. Ma questa è un'altra storia.
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