venerdì 20 marzo 2009

Federico De Roberto: I Vicerè

Il più bel romanzo italiano dell'Ottocento: ogni volta che lo rileggo resto sempre della stessa opinione. Un romanzo storico, o meglio antistorico, un'intricata saga familiare in cui si succedono tre generazioni della famiglia Uzeda di Francalanza di Catania, discendente dai vicerè spagnoli. Anche per De Roberto si potrebbe affermare ciò che disse Pirandello: "Ognuno ha la sua croce, io ho Benedetto". La stroncatura crociana ha infatti influito negativamente sulla popolarità di questo libro che ritengo un vero capolavoro. La bellezza che mi avvince ogni volta è la tecnica narrativa, uno stile obliquo, di seconda mano, in cui una ridda di personaggi si avvicenda sulla scena passando da comparse a comprimari a protagonisti di una porzione della storia. Non c'è una sola figura positiva, sinceramente non riesco vederla nemmeno nella contessa Matilde, che col suo vittimismo accelera la fuga del marito.


La vicenda storica si snoda dal 1855 al 1882, anno delle prime elezioni a suffragio allargato, dagli epigoni della dinastia Borbonica al governo della Sinistra. La saga familiare inizia con la morte della matriarca Teresa e l'apertura del suo testamento, che vede nominati eredi non solo l'odioso primogenito Giacomo, erede del titolo principesco, ma anche il contino Raimondo, il prediletto. Il filo rosso delle eredità, carpite con l'inganno o ricercate avidamente, si sussegue lungo tutta la trama: è infatti l'ossessione del principe Giacomo, che riesce con una serie di tresche a riprendere ai fratelli quanto non gli era stato lasciato dalla madre; è il principale argomento di conversazione, ma soprattutto di invettiva di don Blasco, il corrotto monaco benedettino zio del principe, il cui testamento verrà a sua volta falsificato; è infine anche il velato obiettivo di Consalvo, il principino di casa Uzeda, quando dopo la sua elezione a deputato andrà a far visita ai prozii, il duca Gaspare, senatore del Regno, e la vecchia zitellona donna Ferdinanda, fervente Borbonica.

Un altro tema presente nel romanzo è il cinismo e la volubilità delle relazioni coniugali: "Guardiamo la zia Chiara, prima capace di morire piuttosto che di sposare il marchese, poi un'anima in due corpi con lui, poi in guerra ad oltranza. Guardiamo la zia Lucrezia che, viceversa, fece pazzie per sposare Giulente, poi lo disprezzò come un servo, e adesso è tutta una cosa con lui..." Anche la giovane Teresa, per non contraddire il volere del padre e le sue ubbie nobiliari, finisce con lo sposare il deforme cugino duca Michele, sfornandogli un figlio dopo l'altro e spingendo alla follia e al suicidio il fratello cadetto Giovannino. E che dire del principe Giacomo e del contino Raimondo, che ribaltano i matrimoni combinati dalla madre, per sposare la pettegola e acida cugina Graziella e la bella forestiera di turno? Stupende le prolusioni del cocchiere Pasqualino, che narra la tresca tra Raimondo e donna Isabella: il cambiamento del punto di vista, il suo ribaltamento e la deformazione della realtà è infatti una delle tecniche narrative più frequenti, tanto che non esiste più una storia, non esiste più una verità.


Altro motivo centrale è quello della decadenza della razza. Uno dei passi più famosi del romanzo, un pezzo degno del miglior Naturalismo, è il racconto del parto di Chiara. Dopo anni di gravidanze annunciate e mai arrivate o portate a termine, mentre tutti attendono i risultati dell'elezione del Duca a deputato, la marchesa Chiara entra finalmente in travaglio. "A un tratto le levatrici impallidirono, vedendo disperse le speranze di ricchi regali: dall'alvo sanguinoso veniva fuori un pezzo di carne informe, una cosa innominabile, un pesce col becco, un uccello spiumato; quel mostro senza sesso aveva un occhio solo, tre specie di zampe, ed era ancor vivo."

Nonostante l'ostruzionismo dei parenti Chiara vuole vedere l'aborto e decide di conservarlo sotto spirito: "Zio, non pare la capra del museo?"
Al museo dei Benedettini c'era infatti un altro aborto animalesco, un otricciuolo con le zampe, una vescica sconciamente membrificata; ma il parto di Chiara era più orribile. Don Lodovico non rispose; fatta una breve visita alla sorella, andò via. Anche gli altri a poco a poco se ne andarono, lasciando Chiara sola col marito a guardar soddisfatta quel pezzo anatomico, il prodotto più fresco della razza dei Viceré
.

"Il governo è ladro e deve fare il suo mestiere di ladro" è una delle frasi esemplari che si trovano nel romanzo in bocca a quel personaggio picaresco ed unico che è don Blasco.

Ma vi sono altri episodi nel romanzo che spiccano per la loro esemplarità.

Il ragazzo, stordito un poco dal baccano, domandò:
"Che cosa vuol dire deputato?"
"Deputati," spiegò il padre, "sono quelli che fanno le leggi nel Parlamento."
"Non le fa il Re?"
"Il Re e i deputati assieme. Il Re può badare a tutto? E vedi lo zio come fa onore alla famiglia? Quando c'erano i Viceré, i nostri erano Viceré; adesso che abbiamo il Parlamento, lo zio è deputato!..."

Questo antistoricismo si ritrova anche in altri romanzi siciliani come Il Gattopardo: "Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi" è infatti la sentenza di Tancredi quando si unisce ai garibaldini. La stessa strada seguita da Consalvo che, sedotto dal potere della capitale durante il suo voyage de formation, si converte dal legittimismo Borbonico alla Sinistra che sola lo può portare sui banchi di Montecitorio succedendo così allo zio duca.

Nell'ultimo capitolo del romanzo troviamo infatti la sublimazione del trasformismo nel comizio elettorale di Consalvo che parla per due ore consecutive senza dire assolutamente nulla. Ma al discorso pubblico segue il vero discorso, di aristocratico fino al midollo, tenuto ad una tossicchiante donna Ferdinanda: "Si rammenta Vostra Eccellenza le letture del Mugnòs?..." continuava Consalvo. "Orbene, imaginiamo che quello storico sia ancora in vita e voglia mettere a giorno il suo Teatro genologico al capitolo: Della famiglia Uzeda. Che cosa direbbe? Direbbe press'a poco: "Don Gafpare Vzeda"," egli pronunziò f la s e v la u, ""fu promosso ai maggiori carichi, in quel travolgimento del nostro Regno che passò dal Re don Francesco II di Borbone al Re don Vittorio Emanuele II di Savoia. Fu egli deputato al Nazional Parlamento di Torino, Fiorenza e Roma, et ultimamente dal Re don Umberto have stato sublimato con singolar dispaccio al carico di senatore. Don Consalvo de Uzeda, VIII prencipe di Francalanza, tenne poter di sindaco della sua città nativa, indi deputato al Parlamento di Roma et in prosieguo..." Tacque un poco, chiudendo gli occhi: si vedeva già al banco dei ministri, a Montecitorio; poi riprese: "Questo direbbe il Mugnòs redivivo; questo diranno con altre parole i futuri storici della nostra casa. Gli antichi Uzeda erano commendatori di San Giacomo, ora hanno la commenda della Corona d'Italia. È una cosa diversa, ma non per colpa loro! E Vostra Eccellenza li giudica degeneri! Scusi, perché?"
E infine:
"Io farei veramente divertire Vostra Eccellenza, scrivendole tutta la cronaca contemporanea con lo stile degli antichi autori: Vostra Eccellenza riconoscerebbe subito che il suo giudizio non è esatto. No, la nostra razza non è degenerata: è sempre la stessa."

lunedì 9 marzo 2009

Flavio Lucchesi: Cammina per me, Elsie

Saggio storico o romanzo? Anche dopo averlo letto e gustato appieno, non so dire se prevalga l'uno o l'altro aspetto in questo strano libro che prende qualcosa da tutti e due i generi. Sì perché l'accurata ricostruzione storica del ricercatore è seguita dal racconto, rielaborato a partire delle memorie di Elsie, cioè Ersilia Maffina.


La storia della famiglia Maffina, originaria della Valtellina, è esemplare di quella grande ondata migratoria che partì dalla provincia di Sondrio verso l'Australia tra la fine dell'Ottocento e la metà del secolo scorso, passando dalle montagne al Bush. Il padre di Elsie, Giuseppe detto Joe, parte da Chiuro per gli USA per poi raggiungere i fratelli nella zona di Kalgoorlie nel Western Australia. Qui i Maffina lavorano duramente abbattendo alberi, finché non riescono ad acquistare una farm nel nord verso Geraldton. Ma un incendio, forse doloso, distrugge tutto, lasciando la famiglia sul lastrico.
Negli anni trenta troviamo i Maffina a Kalgoorlie. Qui la famiglia viene coinvolta nel terribile pogrom del 1934, che vede gli italiani vittime di un odio razziale scatenato nei loro confronti a causa della grande recessione di quegli anni. Anche qui le cose non vanno meglio: il Main Reef Hotel e l'Home Family Hotel vengono devastati, incendiati e distrutti dalla furia dell'odio razziale.
La terza parte del libro si colloca invece durante la seconda guerra mondiale. Nonostante Joe avesse preso la cittadinanza australiana dal 1922 e per giunta soffrisse di cuore, egli venne recluso in un campo d'internamento, come molti italiani che subirono la sorte di passare da immigrati a "stranieri nemici".

Negli anni settanta ho avuto modo di conoscere direttamente la realtà degli emigrati valtellinesi e italiani in Australia. Pur ben integrati e parte attiva della società , non sempre gli italiani erano visti bene dagli australiani, che usavano ancora nei loro confronti epiteti quali dingos. Erano anni di boom e di passaggio per l'Italia, da nazione che emigrava per sopravvivere a nazione ricca e decadente che oggi importa quella stessa manodopera a basso costo che aveva esportato per anni.

venerdì 19 dicembre 2008

Andrea Vitali: Dopo lunga e penosa malattia

L'ho letto d'un fiato.
Dopo due romanzi così così, il dottor Vitali torna a deliziarci con un racconto lungo delizioso e godibilissimo. Questa volta il medico di Bellano non ha preso ispirazione tra le tombe del cimitero del paese, ma ha attinto direttamente dai necrologi sui muri: "dopo lunga e penosa malattia". Come al solito personaggi e situazioni narrati sono esemplari di una provincia nota e familiare, l'epoca sono quegli anni sessanta e settanta in cui in casa c'era un solo apparecchio telefonico nel corridoio e da fuori si telefonava a gettoni, quegli stessi anni di Una finestra vistalago e Un amore di zitella.

I personaggi questa volta hanno nomi comuni, così come comune è la patologia narrata: l'infarto al miocardio che stronca il notaio Galimberti e l'angina pectoris, anticamera dell'infarto, di cui soffre l'amico e protagonista dottor Lonati. Ma chi ha commissionato quello strano necrologio? Come mai vi si parla di assidue cure prestate all'amico dal dottor Lonati? E cosa sono le impronte di scarpe bagnate sul pavimento e la puzza di fritto? Che ruolo ha il farmacista (stranamente anonimo) che assomiglia a un domatore di leoni, a un macellaio o a un maitre d'hotel?

Attorno a questi misteri si snoda una vicenda tanto semplice quanto inattesa, con un finale a sorpresa. Infatti mi stavo chiedendo dove fossero finite le nostre forze dell'ordine.

venerdì 12 dicembre 2008

Valerio Massimo Manfredi: Idi di marzo

Anche quest'anno il mio professore non è mancato all'appuntamento con i suoi lettori. Dopo averci incantati con L'Armata perduta, che ricostruisce l'Anabasi di Senofonte, ci ha regalato un romanzo che già dalla copertina richiama una data scolpita in modo indelebile nella memoria di tutti: le idi di marzo.

Tre anni fa lo incontrai, mi chiedo ancora quanto casualmente, ai Fori Imperiali dove stava facendo una lezione en plein air ai suoi studenti della Bocconi. Ed è proprio tra il tempio di Saturno, la casa delle Vestali e la Domus Publica che è ambientata buona parte del romanzo. L'altra metà è una folle corsa contro il tempo lungo le piste e le strade che scendono verso Roma dall'Appennino, strade che Manfredi conosce come le sue tasche per averle studiate e percorse a piedi e in moto.

Nello scenario della Roma del tramonto della Repubblica si alternano una serie di personaggi. I meno noti al grande pubblico, come Lepido, Calpurnia, Ligario, Cassio, Servilia, suo figlio Bruto con la moglie Porzia, prendono finalmente un corpo e un carattere, anche se nel caso dei congiurati questo carattere denota tutta la sua insipienza. Ma anche Antonio brilla per la sua ambiguità, Cleopatra spicca per la sua ambizione e Cicerone pare un vecchio fanatico. Su tutti si staglia la figura di Cesare, delineata in tutta la sua drammaticità nel momento più cruciale della storia di Roma. Manfredi ne delinea il disegno politico, ma anche il dramma dell'uomo che per chiudere finalmente la tragica stagione delle guerre civili è costretto a sacrificare la libertà alla sicurezza, argomento ancor oggi di grande attualità.

Ai personaggi storici si affiancano indimenticabili alcuni comprimari nati dalla fantasia dell'autore. Tra di essi per la loro fedeltà a Cesare spiccano Silio Salvidieno e Publio Sestio detto Baculo. E' proprio quest'ultimo uno dei protagonisti della corsa verso Roma per portare a Cesare un messaggio che lo metta in guardia dalla congiura imminente. A lui ed ai suoi amici si oppongono una banda di nostalgici pompeiani, tra i quali la spia Mustela (la faina) che pur perdendo la battaglia contro Publio Sestio Baculo riuscirà nell'intento di proteggere la congiura.

domenica 28 settembre 2008

Niccolò Ammaniti: Ti prendo e ti porto via

Una carrellata di rapporti psicotici.

Il romanzo si snoda lungo il tracciato dell'Aurelia, in una Maremma acquitrinosa ed assolata, nel paese immaginario di Ischiano Scalo, quattro case vicino alla laguna, torride d'estate, ghiacciate in inverno. Due vite scorrono su due binari paralleli senza quasi incontrarsi: si tratta di Pietro Moroni e di Graziano Biglia, un adolescente introverso figlio di un pastore ubriacone e un logoro playboy da spiaggia emulo di Paco de Lucia.

La storia si apre con la fine delle scuola e... la bocciatura di Pietro. Ma per capire cosa è successo bisogna fare un salto indietro di sei mesi.

Dopo anni di assenza Graziano torna ad Ischiano Scalo annunciando ai quattro venti il suo imminente matrimonio con Erica Trettel, una cubista ventenne con solide aspirazioni televisive. Vuole mettere la testa a posto, aprire una jeanseria al posto della vecchia merceria di famiglia e mettere al mondo tanti marmocchi frignanti. Niente di più lontano dalle aspettative di Erica, che sfrutta il vecchio fricchettone fintanto che non trova un'occasione qualsiasi di fare la velina in un programma qualunque, lasciandolo nella merda. Infatti Graziano aveva appena finito di organizzare una serata a Saturnia per ostentare a tutti gli amici il corpo scultoreo della sua promessa sposa.

Pietro è il classico ragazzo difficile, una famiglia problematica alle spalle, con un padre padrone alcolizzato e violento, e una madre persa nella nebbia degli psicofarmaci. Nemmeno il fratello maggiore si salva, metallaro con la passione per la musica melodica, un mezzo ritardato mentale. Il suo segreto è l'amicizia con Gloria, la bella figlia del direttore della banca locale. La famiglia Celani prende Pietro sotto la sua ala protettrice, ma questo attira l'attenzione di Federico Pierini e del suo branco che costringono Pietro in una gelida notte di pioggia a fare irruzione con loro nella scuola e a distruggere televisori e materiali.

In questa notte di pioggia, tra l'Aurelia e il paese, si incrociano i destini di una folla di personaggi malati ognuno a suo modo: presidi succubi di vicepresidi arpie, poliziotti violenti, pariolini viziati col complesso del primo bacio, borgatare isteriche coi capelli viola, bidelli che pensano di essere John Wayne e prostitute clandestine che chiamano la polizia.

E' qui che compare la professoressa Flora Palmieri, anonima zitella trentenne insegnante di lettere, chiamata in causa da una scritta sul muro della palestra della scuola devastata dai vandali e prontamente svegliata nel cuore della notte da una telefonata della vicepreside più perentoria di un ordine di servizio. La professoressa Palmieri è la chiave di volta del racconto e, mentre fa colazione all'alba in un bar per camionisti sulla statale, il suo destino si incrocia con quello del playboy Graziano Biglia, reduce da una sbornia per essere stato mandato brutalmente affanculo dalla sua bella cubista. Si incrocia anche con quello di Pietro, l'unico dei ragazzi che è stato riconosciuto dal bidello. Entrambi sono lirici e irresoluti, patetici nella loro incapacità di imporsi, di dire di no. Pietro viene messo sotto torchio e confessa, i teppisti sono smascherati, ma faranno di tutto per fargliela pagare.

Flora Palmieri torna a casa ad accudire la madre inferma senza ricordarsi di avere dato appuntamento a Graziano per aiutarlo a scrivere un curriculum. E qui, grazie ad una pasticca di sostanze psicotrope, avviene la metamorfosi di due adulti mai cresciuti del tutto che dopo una notte di sesso nell'acqua calda di Saturnia si innamorano perdutamente l'uno dell'altro dimenticando convenzioni e pregiudizi. Mentre il branco insegue Pietro per massacrarlo c'è l'unico fugace contatto tra i due protagonisti maschili di questa storia: Graziano, uscito dalla casa di Flora, si ferma a difendere il ragazzo dalle botte di Pierini e compagni.

Tutto fa pensare al lieto fine: il matrimonio tra il playboy e la prof, lei che ha finalmente trovato un uomo, lui che ha messo la testa a posto, la fine dell'anno che si avvicina con la promessa di Flora che Pietro non sarà bocciato così potrà andare al liceo nonostante l'ostracismo della famiglia. Ma le cose non vanno come devono andare. Il signor Moroni si rifiuta di presentarsi a scuola dopo la sospensione, Graziano parte improvvisamente per la Giamaica.

Si arriva così a giugno e ai tabelloni fuori da scuola. La professoressa Palmieri non si è più vista in giro negli ultimi mesi. Pietro è l'unico bocciato. Si rifugia nella laguna in mezzo alle zanzare dove Gloria lo raggiunge e lo incita a fargliela pagare alla Palmieri. Ed anche questa volta Pietro non è capace di dire di no, così si intrufola nella casa dell'insegnante per infilarle una biscia nel letto. Ma la mente di Flora non è più la stessa, l'esperienza amorosa e quella dell'abbandono hanno infranto completamente le piccole sicurezze su cui si reggeva la sua vita scialba. Anche il suo corpo non è più lo stesso: Graziano Biglia le ha lasciato il ventre tondo che lei ostenta nuda nella vasca da bagno in un delirio di canzoni, briciole e acqua. E accusa Pietro di essere un debole come lei, ma nel momento in cui lui reagisce il mangianastri elettrico cade nella vasca piena d'acqua.

Pierini gli domandò: "Lo sai che è morta la professoressa Palmieri?"
Pietro lo guardò negli occhi. E lo disse: "Lo so. L'ho ammazzata io".

E' questa la reazione di Pietro, la sua unica possibilità di salvarsi da una famiglia sbagliata, l'unico modo per non diventare un fallito come loro.

sabato 5 luglio 2008

Tomasi di Lampedusa: Il Gattopardo

Zione sei una bellezza stasera. La marsina ti sta alla perfezione. Ma cosa stai guardando? Corteggi la morte?

La domanda di Tancredi, dietro il suo sorriso beffardo ed ironico, durante il ballo a palazzo Ponteleone sintetizza quello che è il tema principale de “Il Gattopardo”: la morte, il disfacimento, la polvere. Un mucchietto di polvere livida sono le parole con cui si chiude il romanzo e nunc et in hora mortis nostrae quelle con cui si apre, in una circolarità analoga a quella del primo capitolo, che si snoda nell’arco di ventiquattro ore, da una recita all’altra del Santo Rosario. Morte che puntualmente fa capolino in ogni pagina del romanzo, per poi materializzarsi nei panni di una donna piacente e desiderabile in quello della morte del Principe.

Il paesaggio siciliano carico di odori travolgenti, di luce abbacinante fa da contrappunto ai sentimenti del protagonista e degli altri personaggi del romanzo, che fanno della dissimulazione e dell’impossibilità a mutare realmente il loro stile di vita un punto d’orgoglio. Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi! È infatti una delle frasi di questo romanzo divenute celebri. Anche qui è Tancredi a dirla allo zio nel momento in cui decide, con un’avventura audace e predatoria delle sue, di unirsi a Garibaldi e ai Mille, così come poco dopo avrebbe rinunciato all’amore della contegnosa cugina Concetta per il matrimonio ricco con la bella Angelica Sedàra, figlia di Don Calogero, nipote di Peppe ‘Mmerda.

La vicenda del romanzo è ambientata ai tempi dell’unità d’Italia, in un momento in cui la grande aristocrazia isolana vive la sua ultima stagione di grandezza. Don Fabrizio guarda con distaccato disincanto sia al passato regime di “Franceschiello Dio Guardi” che ai Piemontesi del re Galantuomo. Quello che bisogna scongiurare, per preservare ancora un paio di generazioni la grandezza del Gattopardo, il fasto sbrecciato della nobiltà, è la Repubblica di don Peppino Mazzini. Ma è don Ciccio Tumeo a farci riflettere con il suo voto per i Borbone al plebiscito trasformato da Don Calogero in un’ovazione per i Savoia. L’ambientazione porta inevitabilmente a discutere se si tratti o no di romanzo storico, ma ritengo che si tratti di una mera disquisizione accademica: i romanzi siciliani sono storici e antistorici nello stesso tempo, da Mastro don Gesualdo a Conversazione in Sicilia da I Viceré al Gattopardo.

Due note personali su aspetti di minor conto che non cessano di stupirmi ad ogni rilettura.
L’ironia e il disincanto del narratore onnisciente che si affaccia di tanto in tanto nelle pagine del romanzo con notazioni che ci richiamano al tema del disfacimento e della morte: Si credevano eterni: una bomba fabbricata a Pittsburg, Penn. doveva nel 1943 provar loro il contrario.
E certi passaggi impareggiabili, uno tra tutti:
Ma gli altri… C’erano anche i nipoti: Fabrizietto, il più giovane dei Salina, così bello, così vivace, tanto caro.
Tanto odioso. Con la sua doppia dose di sangue Màlvica,…

Nulla cambia.

mercoledì 30 aprile 2008

Giovanni Pascoli: Italy

Italy, l'ultimo dei "Primi Poemetti", è una delle poesie più lunghe del poeta romagnolo (450 versi in due canti di terzine dantesche: canto primo, canto secondo) e ricalca moduli epico-narrativi. La dedica è singolare: Sacro all'Italia raminga. Tratta infatti uno degli argomenti più scottanti della storia sociale italiana tra Ottocento e Novecento, quello dell'emigrazione, fenomeno che riguardò non meno di 20 milioni di nostri connazionali. Ciò che spesso oggi sfugge è come, nell'intenzione di chi allora partiva, si trattasse di una migrazione temporanea che aveva come fine principale quello di migliorare la propria condizione economica (e quella della propria famiglia) in patria... per farsi un campo, per rifarsi un nido.

La vicenda narra di un gruppo familiare di quattro persone che ritorna una sera di febbraio a Caprona, in Garfagnana, per portarvi la piccola Maria detta Molly, nella speranza che l'aria salubre di montagna la possa guarire dalla tisi. La accompagnano il vecchio nonno e gli zii Beppe e Ghita. Nella casa avita, nera per la fuliggine e buia, è rimasta la nonna i cui gesti quotidiani come mungere le vacche, pulire la greppia e filare, si ripetono immutabili da sempre. La prima reazione della piccola è di rifiuto e nella sua lingua d'oltremare dice allo zio Beppe: Bad country, Ioe, your Italy! E lo zio la compiange: Poor Molly! Qui non trovi il pai con fleva di fronte al pane fatto in casa e al latte appena munto messo in tavola dalla nonna.

Il pai con fleva (pai with flavour), così come i molti bìsini (business), il fruttistendo (fruitstand) o vende checche, candi, scrima (cakes, candy, ice-cream) sono la lingua speciale dell'emigrate, un inglese italianizzato o addirittura dialettizzato che diventa la lingua franca in cui si esprime chi ha lasciato la propria terra e in qualche modo non appartiene del tutto né ad una realtà né all'altra.

E che dire dell'attualità del grido dell'emigrante, un vu' cumprà e costa poco che si ripete nel tempo:

Will you buy... per Chicago e Baltimora
buy images... per Troy, Memphis, Atlanta,
con una voce che te stesso accora:

cheap! ... nella notte, solo in mezzo a tanta
gente; cheap! cheap! tra un urlerio che opprime;
cheap! ... Finalmente un altro odi, che canta...

Molly però non è attratta come la zia Ghita dalla modernità de la mi' Mèrica dove per pochi cents si possono comprare stoffe lustre come sete. Anche se all'inizio la sua reazione è lapidaria

You like this country? ella negò severa
Oh, no! Bad Italy! Bad Italy!

a poco a poco la nonna la conquista, con i suoi gesti lenti, con il suo filare sempre uguale, che ripercorrono lo stesso affetto da generazioni. Sono proprio quei gesti del tempo delle fate, che nessuno in America fa più, che rapiscono la fantasia di Molly che trascorre ore accanto al focolare e alla nonna. E Molly decide, decide di die in Italy. " oh yes, Molly morire in Italy!"

Italy allora si commuove e il maltempo lascia il posto al sole primaverile che guarisce la piccola. In quella casa che la bimba bad chiamava tornano le rondini, sweet, sweet. Ma la situazione iniziale si ribalta: il bel tempo fa guarire la tosse di Molly, ma la tosse prende ora la nonna e se la porta via.

Il poemetto si chiude con la partenza della famiglia dopo il funerale. Hanno preso la ticchetta del barco e tra un buona cianza (chance) e un good bye se ne vanno, con la promessa di ritornare, anche quella della piccola Molly.

Al di là della vicenda, commovente nella sua semplicità, il poemetto è un capolavoro linguistico in cui si intrecciano la bellezza di quattro diversi idiomi: italiano, vernacolo, inglese e gergo dell'emigrante, un misto delle prime tre. Non c'è da stupirsi che il buon Benedetto Croce abbia cassato questa lirica che è invece un esempio dello sperimentalismo linguistico pascoliano e di quanto questo poeta sia stato capace di anticipare temi che verranno ripresi ed ampliati in tempi più vicini a noi.